Il potere degli errori.

Sbagliare è parte del fare esperienza e non è solo qualcosa da accettare, ma da sfruttare. Perché il permesso di fare errori apre la porta ad un numero più elevato di esperienze che ci arricchiscono e fanno crescere.

“Sbagliando si impara”. Una frase che abbiamo sentito molte volte eppure quanti di voi si criticano, si mortificano, si biasimano, si sentono a disagio quando sbagliano?

Purtroppo anche se sappiamo che sbagliare non solo è umano, ma anche prezioso, ci accompagniamo nelle varie esperienze con la convinzione di dover essere sempre “ vincenti”, prestanti al 100%, capaci ed efficienti. Questo perché? Perché siamo stati probabilmente educati al “ risultato” piuttosto che alla “ prestazione”, a prendere buoni voti a scuola piuttosto che ampliare le competenze, a vincere le gare piuttosto che accrescere le proprie capacità sportive.

Piano piano abbiamo capito che ciò che conta è il voto, la medaglia, la posizione in classifica. Siamo diventati un numero: “Tu sei 10” e “ Tu sei 4”.

Ed ecco che il nostro essere si confonde con ciò che facciamo. Il valore degli errori diventa pesante, influisce troppo con ciò che sono e diventa un marchio indelebile!

Quindi, “ sbagliando si impara”, sì , ma non per me! Ecco come ci incastriamo in una gabbia, privandoci del permesso di vivere appieno le varie esperienze dove si può crescere, cambiare, esplorare nuove strade, cadere e scoprire che esistono tanti terreni diversi e mille modi di alzarsi.

Se non possiamo sbagliare continueremo a muoverci rimanendo fermi.

E’ veramente il risultato ciò che cerchi? Allora esci da questa prigione, accogli i tuoi fallimenti e impara ad usarli come strumento prezioso. Quello che sei non cambia mai. La possibilità che ti dai di muoverti, invece, è ciò che ti porterà dove vuoi.

EMOZIONI: istruzioni per l’uso

“Senza emozioni, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento”, G.G. Jung.

Le emozioni sono una bussola! Segnali che ci informano sul nostro mondo interno ed esterno. Ognuna ha uno scopo diverso e per questo sono tutte fondamentali. Ascoltare, decifrare e accogliere questi segnali vuol dire avere gli strumenti per analizzare la realtà, sintonizzarsi con i propri bisogni e fare scelte protettive e consapevoli.

Scopriamole insieme.

LA TRISTEZZA

E’ l’emozione che proviamo ogni volta che ci troviamo a vivere una perdita, che dobbiamo lasciare qualcosa. La perdita di un lavoro, una separazione, un cambiamento improvviso, un lutto…

E qual è la sua funzione?

  • Ci invita a fermarci
  • Ci consente di allontanarci temporaneamente dal mondo esterno per occuparci dei contenuti che stanno dentro di noi
  • Ci aiuta nell’elaborazione dei ricordi
  • Ci aiuta ad entrare in relazione con gli altri e a chiedere aiuto
  • Ci consente di provare empatia e compassione

LA PAURA

E’ un’emozione primaria di difesa, provocata da situazioni di pericolo reale o evocato.

A cosa serve?

  • E’ il nostro sistema di allarme
  • E’ indispensabile e preserva l’esistenza stessa
  • E’ un regolatore interno che ci attiva per difenderci dal pericolo, preparando il corpo ad una reazione di attacco, fuga o congelamento.
  • L’espressione della paura ha la funzione di avvertire con immediatezza gli altri membri del gruppo circa la presenza di un pericolo
  • Stimola la memoria e l’apprendimento di quella situazione per farne occasione di crescita

E’ importante distinguere la paura dall’ansia, fobia o panico, poiché in quel caso l’istinto emotivo scatta in modo inappropriato, cioè senza che sia presente una reale minaccia o con un’intensità eccessiva, perdendo così la sua funzione fondamentale.

IL DISGUSTO

E’ l’emozione che proviamo ogni volta che si avvicina a noi qualcosa che non ci piace, appunto ci disgusta.

A cosa serve?

  • Ci protegge da possibili intossicazioni, “avvelenamenti”, sia fisici che sociali.
  • Aiuta nella definizione di sé, dei propri spazi e della propria identità
  • E’ un indicatore dei propri “gusti valoriali”

Tutela, quindi, il nostro corpo e la sua integrità, ma anche il Sè e il senso della dignità umana. Affinché quest’emozione possa svolgere il suo ruolo centrale e non diventi, invece, un ostacolo che ci priva di esperienze nutrienti, sia fisiche che sociali è importante analizzare e verificare ” in che modo questa cosa può essere tossica per me?”. Così da non inciampare nei pregiudizi o nell’infantile idea che i “broccoli sono verdi e quindi possono avvelenare”.

LA RABBIA

E’ l’emozione che per eccellenza apre la porta alle altre emozioni. E’ un campanello di allarme che si attiva quando ci sentiamo minacciati ( es. fisicamente, nostra autostima) oppure se percepiamo un’ingiustizia, una frustrazione dei nostri bisogni.

A cosa serve?

  • Ci aiuta ad esprimere noi stessi, a difendere i nostri diritti e il nostro valore
  • Ci rende pronti all’azione
  • Ci aiuta a reagire, a superare le difficoltà, a raggiungere gli obiettivi
  • Ci aiuta a definire in maniera istintiva il nostro spazio, i nostri confini.
  • Spesso copre altre emozioni (paura, tristezza, …)

Cosa NON è?

  • VIOLENZA: perché la violenza NON è un emozione, ma un comportamento. Un agito che che paradossalmente si utilizza proprio quando non ci si da il tempo di sentire la propria rabbia e di ascoltare il bisogno frustrato che c’è dietro quell’emozione.
  • NON E’ CAUSATA DAGLI ALTRI: Nessuno ha il potere di farci sentire in un modo piuttosto che in un altro. Ciò che proviamo dipende dal significato e valore che attribuiamo a quello stimolo. Prova di questo è che ognuno di noi nella stessa situazione prova ed ha reazioni diverse.

LA GIOIA

E’ un emozione debole, talora impalpabile e nello stesso tempo una struttura fondamentale della nostra vita.

A cosa serve?

  • Ci ricorda cosa ci fa stare bene
  • Definisce chi siamo e cosa vogliamo
  • Ci aiuta a ricercare ciò che desideriamo in maniera autentica
  • Ci rende spontanei e liberi
  • Ci da una direzione e motivazione ( è energia pura)
  • Ottimizza l’apprendimento e la memoria
  • Facilita l’apertura verso l’esterno e verso gli altri

La gioia è, quindi, un bene transitorio ed è questa la sua grande forza. Infatti, ci spinge a non fermarci, a crescere, porci obiettivi sempre nuovi, ad incuriosirci e lasciarci riscaldare dagli sguardi di chi incontriamo e dalle esperienze piacevoli che facciamo nella vita.

Imparare ad ascoltare e dare nome a ciò che sentiamo ci permette di entrare in contatto con la realtà e di vivere il qui e d’ora in pieno controllo. ” La gente teme tutto quello che ha dentro, ma è l’unico posto in cui troverà tutto quello che serve“.

Psicologia dello sport e Psicoterapia: ma in cosa consiste il tuo lavoro?

Molto spesso incontro persone che mi chiedono cosa voglia dire essere una psicologa sportiva e in cosa consiste il mio lavoro. Se è una terapia o se ci siano delle differenze. In questo articolo cercherò brevemente di spiegare cosa è e cosa non è e come integro nel lavoro le mie diverse competenze.

Che cos è la PSICOLOGIA DELLO SPORT?

È un settore della psicologia applicata che studia gli aspetti psicologici, sociali, pedagogici, psico-fisiologici che influenzano e sono influenzati dalla prestazione nello sport e dalla partecipazione all’esercizio fisico.

Cosa fa uno PSICOLOGO DELLO SPORT?

Supporta i singoli atleti o le squadre con l’obiettivo di analizzare le criticità, valorizzare le risorse e ottimizzare la prestazione , lavora per promuovere la pratica sportiva e il miglioramento della qualità della vita nelle diverse fasi di sviluppo. Dopo aver analizzato le diverse situazioni, può utilizzare diversi strumenti e tecniche tra cui: self talk, visualizzazione, tecniche di respirazione, goal setting, biofeedback.

Di cosa si occupa?

Sono tanti gli aspetti di cui può occuparsi ad esempio: motivazione, autostima e autoefficacia, analisi e comprensione dei comportamenti disfunzionali, comunicazione, gestione delle emozioni, dinamiche di gruppo e altro.

Come si diventa psicologo dello sport?

Dopo la laurea di 5 anni (3+2) è possibile fare un master in psicologia dello sport.

Ma la psicologia dello sport è una sorta di terapia?

No!

Chi è uno PSICOTERAPEUTA?

E’ lo specialista che attraverso strumenti clinici ( diagnosi, eziologia, pianificazione del trattamento, setting) e attraverso la relazione umana ( empatia, ascolto, alleanza terapeutica,…) è in grado di accompagnare la persona in un processo di cambiamento, volto al raggiungimento di un migliore stato di equilibrio. E’ uno psicologo ( o medico) che DOPO la laurea ha fatto una scuola di specializzazione in psicoterapia di 4 anni. Esistono tanti tipi di scuole di specializzazione che si differenziano in base all’orientamento teorico.

Quindi essere PSICOLOGA DELLO SPORT e PSICOTERAPEUTA vuol dire fare due lavori diversi?

Vuol dire avere competenze diverse, che nel mio caso, in alcune situazioni, trovo utile integrare. Lo sguardo e la capacità di analisi che ho affinato negli gli anni grazie a questa integrazione ha sicuramente portato molti frutti. Specialmente nel lavoro individuale con gli atleti. Ho osservato che un’ analisi più profonda dei processi che stanno alla base di certi comportamenti “ critici” o non efficaci, permette di ottenere risultati a breve e lungo termine molto diversi in termini di consapevolezza e autonomia. Detto questo, non è sempre utile nè possibile fare un lavoro integrato. E’ fondamentale fare sempre un’accurata analisi iniziale della situazione per poter scegliere l’obiettivo, il tipo di percorso e gli strumenti da utilizzare con l’ atleta, la squadra o l’allenatore.